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10 agosto 2013

60 anni dalla morte di un grande pilota di casa: TAZIO


Cari amici del motore, è doveroso ricordarlo... 60 anni domani Domenica 11 Agosto dalla morte di un grande pilota di casa il grande TAZIO.

Caschetto di cuoio, occhiali da aviatore, mani come artigli fasciate dai mezzi guanti, aggrappate al volante di legno. E' l'immagine di Tazio Nuvolari che rimandano scatti in bianco e nero o qualche fotogramma sgranato di cinegiornale, risalenti al trentennio che lo vide vincere (prima in moto, poi in auto) sulle strade e le piste d'Europa e del mondo. Sessanta anni fa, l'11 agosto del 1953, moriva "Nivola" o "il mantovano volante", come l'aveva ribattezzato Gabriele D'Annunzio.

Un ictus gli diede il colpo di grazia, ma da anni sopravviveva con i polmoni minati dalle tante sigarette e dai vapori di benzina respirati in una vita. Perché Nuvolari la sua personale ed impavida ricerca della velocità l'aveva cominciata presto. "Autiere" durante la Grande Guerra, poi pilota su due ruote fino a metà degli anni Venti. Già famoso (della popolarità non effimera che accompagnava i miti sportivi prima dell'avvento della televisione), si avvicinò alle corse in auto, alternandole con quelle in moto. Finchè nel 1930, vincendo la Mille Miglia (con Alfa Romeo di Enzo Ferrari, non ancora patron del Cavallino rampante), decise di dedicarsi solo alle auto. Quella fu l'edizione del sorpasso notturno su Achille Varzi, a fari spenti, per coglierlo di sorpresa. Uno dei tanti aneddoti che accompagnano l'epica del mito Nuvolari. Come quello della gara conclusa con una chiave inglese fissata al mozzo dello sterzo, al posto del volante spaccato. O l'invenzione della "sbandata controllata" che gli consentiva di affrontare le curve a velocità altrimenti impossibili con le vetture di allora (la tecnica poi adottata dai moderni rallisti).

Nuvolari corre, tanto, in ogni condizione. Gli incidenti non mancano, ma non lo fermano ne fratture ne malattie. E vince. Gare dai nomi leggendari, come la Targa Florio (due volte) o la Coppa Vanderbilt, a Long Island. Vince con l'Alfa, ma anche su Maserati, Bugatti, Auto Union. Spesso precede i più grandi nomi del tempo. Che lo ammirano e non lo dimenticheranno. Ferdinand Porsche di lui dirà "è il più grande del passato, del presente e del futuro". Al suo funerale il carro funebre (lo chassis di una macchina) sarà scortato da Alberto Ascari, Luigi Villoresi e Juan Manuel Fangio. Con l'intervallo della II Guerra Mondiale, sono decenni di automobilismo sportivo eroico, su vetture con gomme ridicole, freni a tamburo di dubbia efficacia, niente cinture di sicurezza o vie di fuga. Mostri in cui il pilota è incastrato tra motore e serbatoio. Nuvolari, alto poco più di un metro e 60, quasi scompare in quel pozzetto che è l'abitacolo. Ma poi domina il mezzo come nessun'altro.

E la gente passa giorni e notti tra le stoppie ed i filari di cipressi, aspettando di sentire il rombo della sua Alfa. E' un attimo, un turbine di polvere e fumi di scappamento. I più fortunati lo riconoscono dal maglione giallo che indossa sempre, quello con le T e la N nere, sovrapposte. Poi restano solo due luci rosse che si allontanano. Tutto per poter tornare a casa e dire: "Ho visto Nuvolari". L'ultima gara (e l'ultima vittoria) il 10 aprile 1950 nella corsa in salita Palermo-Monte Pellegrino, in Sicilia, su Cisitalia-Abarth 204. Primo nella classe fino 1100 cc e quinto assoluto. Un ritiro ufficiale Nuvolari non lo annunciò mai. Semplicemente, se ne andò.

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